martedì 22 marzo 2011

per IVANA

Questo racconto l'ho scritto un giorno in cui ero super arrabbiata con certi genitori che fanno del televisore la tata dei propri figli, si chiama

AGLI ORDINI DEL CAPITANO ONOFF



“Lo sai che a quest’ora non si possono
fare rumori molesti!”
“Sì ma io volevo solo palleggiare un po’!”
“Palleggiare! Ma tu scherzi, c’è la signora di sotto che si lamenta anche se corri, figuriamoci palleggiare. Trovati un gioco più tranquillo.”
“Quale?”
“Non lo so, il problema è il tuo mica il mio, io ho tante di quelle cose da fare che non mi annoio di sicuro.”
“Potrei aiutarti a cucinare allora? Che prepari? La pizza! Come si fa?”
“No! No! No! Sporcheresti il tavolo e il pavimento e a me rimarrebbe come sempre tutta la cucina da pulire. No! Vai in camera tua a guardare la televisione che tra un po’ è pronta la cena.”
Non è che non mi piaccia la tele è che …
appena lei si accende io mi spengo.
Rimango lì a guardarla e non posso farci nulla,
fa già tutto lei.
Si fa le domande e si dà le risposte, se fa una battuta ride di sé a crepapelle (anche se non fa ridere).
Dice di pensare a me che sono qui a guardarla e che ha inventato un programma apposta per me, così lo guardo anche se non mi piace. Perché? Perché non c’è niente altro da fare qui a casa mia.
Ho un mucchio di giocattoli,
ma li so tutti a memoria ormai.
Correre e giocare a palla, quello sì mi piace, ma nel condominio c’è una regola “non si fanno rumori dalle 19 alle 8 del mattino e dalle 14 alle 16 del pomeriggio.” Che è proprio quando io posso giocare (al ritorno da scuola o quando ho finito di fare i compiti). E allora guardo la tele.
Certe volte ho la sensazione che parli proprio a me.
“Compra questi … guarda le nuove sorprese … Non vorresti avere …”
Poi penso che non è possibile, ma intanto lei parla, parla e io l’ascolto, l’ascolto pure quando m’addormento dopo cena guardando un film. Come lo so? Lo so perché se la mamma la spegne io mi sveglio. Allora la mamma non la spegne più, mi fa compagnia tutta la notte e al mattino lei è ancora lì che parla, canta e fa i rumori più incredibili.
“Alzati che fai tardi a scuola!”
“Non c’è nulla di meglio dei cereali crik e crok per cominciare la giornata …”
“Mamma mi alzo solo se ci sono i cereali!”
“Certo, sono pronti sul tavolo.”
”Scegli il dentifricio fosforescente, i tuoi denti brilleranno anche di notte …”
“Ora che sei in bagno ricordati di lavarti le orecchie e i denti!”
“L’hai comprato il dentifricio fosforescente? Altrimenti i denti non me li lavo!”
Non è che mi interessi molto avere questa roba che le domando ma la televisione in questo mi dà un sacco di idee per vedere se la mamma mi vuole bene davvero. La mia me ne vuole molto, anche se ha sempre tanto da fare non dimentica mai di comprarmi tutto quello che le chiedo.
Così io cerco di comportarmi bene. Vado a scuola e ascolto. Tutti seduti, anche a ricreazione, questo perché una volta un bambino è caduto e si è fatto male correndo nei corridoi e da allora la ricreazione si fa in aula. Non che mi ricordi molto di quello che dice la maestra, ma tanto poi faccio i compiti con mamma ogni pomeriggio e quello che non capisco a scuola me lo fa lei a casa. Così mi distraggo un po’ e guardo quella strana televisione muta che è la finestra dell’aula. L’immagine è fissa e il sonoro è un po’ dissociato ma se passa un uccellino o se di colpo, mosse dal vento, le foglie cadono tutte insieme, allora mi sembra di assistere ad uno spettacolo di magia.
Poi suona la campanella e si esce. Quelli fortunati vanno a casa a piedi o prendono l’autobus con gli altri, così possono parlare un po’, scambiarsi le carte o far vedere cosa hanno in tasca. Io no. A me mio padre mi viene a prendere in auto. Tutti i giorni. Non mi manca nulla, così mi dice sempre mio padre, ho tutti i giocattoli che desidero, mangio quello che voglio, vesto bene, frequento le migliori palestre per gli sport pomeridiani e vado anche alla scuola di musica più prestigiosa della città. La mia famiglia fa molti sacrifici per me. Già, eppure non so come ma mi sento sempre un po’ irritabile, a me sembra sempre che mi manchi qualche cosa, ma che cosa … ? Aspetta che accendo la tele che lei forse lo sa.
“E’ in vendita un nuovo videogioco interattivo
SPACCOTUTTO! …”
“Ma guarda televisione che sei proprio forte! Ma come ti vengono poi tutte queste idee che io neanche a pensarci vent’anni ci riuscirei.”
“Tralallalallalla … e penso a teee! …”
“Se solo potessi parlarti e tu rispondermi, allora saresti davvero un compagno di giochi ideale.”
“Potete chiamare da casa, al numero verde … e vincere …”
“No, non così, io voglio parlare con te, vorrei confidarti i miei sogni, i miei desideri …”
“Il giocattolo che hai sempre desiderato è ora disponibile in tutte le cartolibrerie …”
“Ma no, no! Vedi, io vorrei... vorrei un amico, ecco,
un amico.”
Chiudo gli occhi e mi addormento così, mentre parlo con lei. Al mio risveglio, la mattina seguente, era accaduta una cosa inquietante: la tv parlava con me. Diceva sempre le stesse cose ma … le diceva a me.

“ Come va? Un po’ di stanchezza mattutina? Non preoccuparti, tutto andrà bene se le tue pantofole muffose saranno ai tuoi piedi.”
“Si ce le ho le pantofole e adesso?”
“Adesso vai in cucina, i cereali crik e crok ti daranno l’energia che ti serve per arrivare al bagno, lì ti laverai i denti con il dentifricio fosforescente e lo spazzolino degli stegonauti, solo allora potrai affrontare la tua dura giornata!”
“Sì ma devo andare per forza a scuola?”
“Scherzi? Con il tuo nuovo astuccio schifiltoso farai rabbrividire tutti i tuoi compagni e lo zaino scudo spaziale oggi ti proteggerà dalle interrogazioni. Fidati! Sono la tua tele di supporto qui sul pianeta bambini!”
La mia televisione di supporto, sapeva dire certe cose quella tele che davvero non si poteva resistere. Era più simpatica di qualsiasi persona che avessi mai conosciuto. Così cominciai a volerle bene. E andò tutto liscio, per un po’. Poi mi accorsi di una cosa bizzarra (e assai fastidiosa direi). Man mano che le davo retta e parlavo con lei, man mano che diventava sempre più indispensabile nella mia vita con la sua presenza e i suoi consigli, man mano che la conoscevo mi sembrava sempre più prepotente. Sì prepotente e anche subdola. Per esempio un giorno le avevo confidato di un amico del cuore, l’avevo conosciuto alle lezioni di Karate. Era stata una confidenza che mi era costata molta fatica, non avrei avuto il coraggio di raccontarlo a nessun altro, ma a lei, alla mia tele di supporto, credevo di poter dire tutto. Evidentemente non era così. Il giorno dopo avevo chiesto alla mamma se poteva accompagnarmi a casa del mio amico per giocare. Così per tutto il pomeriggio non vidi la televisione e la sera mi prese una stanchezza tale che mi addormentai sul divano senza guardare neppure un film. Credo che fu questo a mandare su tutte le furie la tele. Fatto sta che l’indomani quella maledetta trasmise un programma sull’apparecchio televisivo della mamma in cui un famoso psicologo spiegava ai genitori come e quanto fossero dannose le arti marziali sui bambini di età inferiore ai 14 anni. Io ne ho 8. Mi hanno tolto dal corso di karate. Ma di lei non mi fidavo più. Prima di tutto cominciai a sabotare i suoi consigli: mi diceva di mangiare i cereali e io chiedevo pane e marmellata, voleva che andassi in giro per casa con le pantofole? E io stavo sempre senza scarpe. Le avevo dichiarato guerra, volevo che mi chiedesse scusa. Ma lei era irremovibile, anzi passò al contrattacco. Quando volevo vedere un cartone mi proponeva solo documentari e se non volevo che mi comprassero qualche cosa che lei pubblicizzava puoi giurarci che in qualche
programma, che vedevano mamma o papà, un dottore o uno psicologo asserivano fosse importantissimo per la crescita sana ed equilibrata dei bambini.
Decisi di spegnerla di notte, quando dormivo, non volevo che mi convincesse a fare qualche cosa mentre riposavo. Messaggi subliminali si chiamano, lo avevo visto in un film, certa gente ci studia l’inglese di notte, mentre dorme, lei chissà che cosa avrebbe potuto infilarmi in testa. Perciò la spensi. E rimasi al buio per la prima volta ad ascoltare, in un silenzio irreale, ogni suono o fruscio mi terrorizzava.
Ci misi più di 4 ore ad addormentarmi (con il rassicurante conforto del mio orsetto Braun) ma ci riuscii. Al mattino però, al mio risveglio, lei era già accesa.“Mamma! Chi ha acceso la tele?”
“Questa notte smaniavi e ti agitavi nel sonno. Ho pensato che ti avrebbe fatto compagnia, così …”
“Vuoi dire che ci ho dormito insieme tutta la notte? Maledetta!”
“Che fai? Lasciala stare! Ma che ti prende? Nooo!”
Buttai la televisione giù dalla mensola (due metri di altezza non è poco per un aggeggio come lei) e si ruppe. Mio padre fece una scenata incredibile quella sera, disse che non avevo alcun rispetto per i loro sacrifici, che quella televisione l’avevano comperata a rate e che ancora dovevano finire di pagarla. Per punizione avrei aiutato lo zio Mario al lavoro e … niente tele per un mese.
Tutto volgeva a mio vantaggio.
Lo zio Mario riparava televisioni, impianti stereo ed elettrodomestici.
L’unico neo della faccenda era che alla fine, oltre che spazzare per terra e dare l’acqua alle innumerevoli piante che teneva lo zio a bottega, avrei dovuto aiutarlo ad accomodare proprio lei, la mia televisione di supporto e tutto sarebbe tornato come prima.
“Senti zio, volevo chiederti una cosa.”
“Dimmi!”
“ In tutti questi anni che aggiusti televisori, ti è mai capitato di trovarne qualcuna strana?”
“In che senso strana?”
“Non so, che trasmettesse cose strane o che parlasse in modo strano e reagisse in modo strano a quello che fanno i suoi padroni.”
“Padroni? Credi davvero che noi siamo i padroni di questi aggeggi? Ti sbagli, l’unica cosa di cui siamo padroni è di accenderle o no. Vedi che io non ne tengo neppure una accesa nel mio laboratorio e se lo vuoi sapere, neanche a casa. Ne ho conosciute di queste che hanno costretto la gente a fare cose che tu non puoi neanche immaginare.”
“Tipo?”
“Io conosco uno che per colpa di quella...”
e così dicendo indicò un maxi schermo appoggiato sul muro di fronte a noi cominciando a parlare sottovoce.
“Per colpa di quella si è separato dalla moglie perché telefonava a delle signorine ignude nel cuore della notte, mentre lei dormiva. A furia di chiamare gli sono arrivate delle bollette talmente salate che s’è dovuto vendere tutto. Solo quando non aveva più nulla da vendere si è liberato della televisione. Adesso ha cominciato una nuova vita ma è stata dura per quel poveraccio.” “E tu dici che è colpa di quella televisione lì?!” “Certo!” “Bene, allora mi capirai se ti dico che io ho rotto la mia perché… perché mi parlava ecco!”
“Tutte le televisioni parlano!”
“Sì ma la mia parlava proprio a me e mi comandava ciò che dovevo fare, pensare e comprare, per questo l’ho rotta. Per liberarmi di lei.” “Davvero?”
“Davvero!”
“E perché non me lo hai detto prima?”
“Non sapevo se mi avresti creduto, non volevo fare una figuraccia.”
Parlavo ma lo zio non mi ascoltava già più. Prima di tutto sgombrò il banco da tutti gli attrezzi e i pezzi appoggiati, poi cominciò ad aprire l’apparecchio. Molte parti erano semplici da smontare, ma in alcuni punti la tele sembrava inaccessibile. Le scatole che contenevano i pezzi più importanti erano sigillate, non c’erano viti. Se si sospettava un difetto, quei
componenti non si potevano aggiustare, bisognava rimandarli alla casa madre e ti rispedivano il pezzo nuovo, chiuso ermeticamente, solo da collegare.
“Maledetti! In questo modo, vedi, noi tecnici siamo diventati dei postini invece che degli artigiani, dobbiamo solo spedire e riassemblare, non aggiustare! Capisci? Solo e sempre sostituire. E’ come se un medico invece di capire perché un paziente si ammala, cosa cambiare nel suo modo di vivere, di mangiare o di muoversi dicesse:
“Ti fa male la pancia? Bene basta cambiarla con una nuova.” In questo modo la gente non migliorerebbe mai il suo stile di vita, non capirebbe cosa le fa male e non smetterebbe mai di ammalarsi. Così ci sarebbe sempre più bisogno dei pezzi di ricambio. Capisci?!”
“Sì zio ma, tornando alla mia televisione, sai dirmi che cosa non va?”
“Il trauma della caduta è ben visibile qui, vedi, questo lo posso aggiustare io in pochi minuti.”
“Sì ma per farla tacere, come faccio?”
Lo zio Mario aveva abbandonato il televisore tutto aperto sul tavolo ed era andato a cercare qualche cosa su uno degli scaffali metallici sopra alla cassa.
“Eccolo!”
esclamò dopo un po’ che armeggiava tra le sue cianfrusaglie.
“Questa sarà la tua spada”
“Ma zio questo è un telecomando!”
“No, questo è un tele-ti-comando, è diverso, molto diverso.”
Mi spiegò che c’era una rete di tecnici di etica televisiva (di cui lui era un accanito sostenitore) che avevano individuato un modo per escludere la “volontà di comando” nelle televisioni. Il tele-ti-comando per l’appunto era un apparecchio che bloccava tutte le proposte fatte dall’elettrodomestico tranne i programmi di intrattenimento. Perciò: sì ai film, ai cartoni animati, ai documentari, alle trasmissioni musicali, no alle pubblicità, agli stacchetti promozionali e ai consigli per gli acquisti.
“E le tele, come reagiscono?”
“Alcune volte oppongono una certa resistenza, lo senti perché il tele-ti-comando comincia a surriscaldarsi. Basta spegnere per un po’ e quando si riaccende tutto torna a posto. Prendilo e fanne buon uso.”
“Grazie zio Mario.”
Quel mese passò in fretta.
Venne il momento in cui dovetti riaccendere.
Era indispensabile che io sapessi cosa stava accadendo all’eroe più famoso della storia Maton Pool, a scuola non si parlava d’altro, tutti conoscevano le sue nuove mosse d’attacco e di difesa, dovevo vederlo anche io.
Così, in un pomeriggio piovoso, mentre i miei erano al lavoro, mi feci coraggio e, impugnato il tele-ti-comando, schiacciai il pulsante on per l’accensione della tv (quello con un cerchietto tagliato in basso da una piccola linea). Il televisore si accese. Il mio eroe combatteva invulnerabile contro il suo più acerrimo nemico. Seguivo la storia con entusiasmo, nessuna interruzione nel corso dell’intero cartone animato, neanche una pubblicità.“Dovrò fare una corsa per andare in bagno, prima avevo il tempo anche per prepararmi la merenda tra una pubblicità e l’altra, ora dovrò fare in fretta.”
pensai mentre appoggiavo il tele-ti-comando sul tappeto della mia cameretta.
Andai in bagno, pochi secondi, e tornai.
Il tele-ti-comando non c’era più.
Lo cercai in ogni angolo, poi guardai in alto.
Sulla mensola della tele, attaccato allo schermo, lampeggiava il mio salvatore, come in preda a profondi cortocircuiti che lo facevano fremere ad ogni impulso.
Allungai la mano per prenderlo.
Volevo staccarlo dallo schermo, provai a tirare ma non voleva saperne di staccarsi.
Allora pensai che sarebbe bastato spingere il pulsante d’accensione. Portai l’indice sul tastino col cerchietto tagliato e … persi i sensi.
Mi risvegliai a terra in preda a forti tremori e febbricitante, ci misi un po’ per ricordarmi cosa fosse accaduto, poi vidi il tele-ti-comando a terra, carbonizzato.
Mentre cercavo di sollevarmi sentii la televisione che rideva, tante risate, piccole e grandi, fioche e cavernose, isteriche, inquietanti e ironiche. Aveva vinto lei, mi aveva sconfitto.
I miei occhi si riempirono di lacrime, mi sentivo male e la tele rideva di me.
Fu allora che mi ricordai, il cavo elettrico che alimenta l’apparecchio malefico, bastava staccarlo dalla presa della corrente. Non dovevo fare altro che raggiungerlo. Cominciai a strisciare sui gomiti (non riuscivo a stare in piedi perché la testa mi girava), lei mi vide e ricominciò a parlarmi.
“Non hai scampo, convincerò i tuoi a curarti, dirò loro che hai una malattia mentale, che il tuo cervello non ragiona come gli altri, ti imbottiranno di farmaci e ti sistemeranno davanti a me per farti rilassare, tutti i giorni, ad ogni ora. Se racconterai questa storia nessuno ti crederà, sei in mio potere, per sempre! Ah! Ah! Ah!”
Continuò a parlarmi così per tutto il tragitto, conosceva tutti i miei segreti e le mie paure e li stava usando per fermarmi.
Calde lacrime scorrevano sulle mie guance, avevo paura ma non mollai.
Arrivai alla presa e staccai la spina.
Quando riaprii gli occhi la mamma e il papà erano accanto al mio letto e parlavano sottovoce:
“Ma non capisci! Poteva andare a fuoco l’intero appartamento.”
“E’ colpa di tuo fratello, quel telecomando ha preso fuoco in un attimo come fosse di carta, dovrei denunciarlo alla polizia quel pazzo di Mario.”
“Ma che dici? Mio fratello non c’entra un bel niente, è questa nostra creatura che ha dei problemi. Prima ha un attacco isterico e lancia il televisore, poi cerca di dar fuoco alla casa, dobbiamo affidarci a qualche specialista cara, prima che la situazione peggiori.”
“Ma che specialista e specialista, tanto per cominciare vorrei sentire la sua versione e poi vedremo che fare.”
“Mamma, papà, non è colpa mia,
è stata la televisione che …”
Raccontai loro tutta la storia.
Naturalmente non mi credettero. Mi fissarono in faccia sbalorditi, poi preoccupati e alla fine del racconto avevano stampata in volto un'espressione pietosa, mi guardavano come fossi un alieno.
Prima ancora che potessero dirmi qualche cosa entrò il dottore. Mentre il medico parlava con i miei genitori mi guardai intorno: solo allora mi resi conto di essere in ospedale. Accanto a me c’erano altri due letti con due bambini. Uno era addormentato, l’altro se ne stava seduto e mi osservava serio. Quando i nostri sguardi si incontrarono mi salutò con la mano. Ricambiai il saluto, la mia mano però aveva l’indice fasciato.
“Cosa mi è successo?”
chiesi al medico mostrandogli il dito.
“Una piccola bruciatura, piccola ma molto profonda. Non è grave, guarirai in pochi giorni ma la cicatrice resterà per sempre. E’ importante invece che tu cerchi di ricordare, da quel che ci hai detto finora non siamo riusciti a capire cosa ti sia accaduto.”
“Non ricorda ancora nulla.”
disse in fretta mia madre.
“Abbiamo provato fino ad ora, ma non sa dirci proprio come siano andate le cose.”
“Ricorderà, prima o poi ricorderà, non temete, non è grave.”
Così dicendo il dottore uscì dalla stanza. I miei mi dissero, sottovoce, che era meglio che io non raccontassi quella storia assurda ad estranei. Accettai il loro consiglio facendo sì con il capo. Li vidi uscire appoggiati l’uno all’altra, volevano proteggermi ma di certo non credevano a ciò che avevo raccontato loro.
Quando cominciai a ripensare ai fatti che mi erano accaduti mi assalirono atroci dubbi... era davvero avvenuto quello scontro? Era tutto così incredibile. Poi sentii un dolore penetrante al dito. Ripensai al tele-ti-comando, alzai gli occhi verso il soffitto e la vidi. Una televisione stava lì, appesa al muro, in attesa di essere accesa, proprio di fronte a me. Per fortuna un bambino dormiva, la tele l’avrebbe disturbato, per questo era spenta, pensai. Non avrei davvero voluto che fosse accesa, affrontarla di nuovo non era possibile per me, in quello stato. Ma forse questa era innocua, cominciai a pensare, forse solo la mia aveva
il potere di soggiogarmi.
Il ragazzino seduto sul letto in fondo alla stanza scese dal materasso e mi venne incontro.
“Ciao!”
mi disse.
“Come va? Ho sentito che hai avuto uno scontro anche tu, conosco bambini che pagherebbero per avere un marchio come il tuo.”
“Quale marchio? E poi tu come fai a sapere della battaglia tra me e …”
Il ragazzino si calò leggermente l’elastico dei pantaloni del pigiama e vidi una piccola cicatrice, un cerchietto grande più o meno cinque millimetri, la cui circonferenza era interrotta in basso da una piccola linea. “Il pulsante d’accensione e spegnimento del tele-ti comando!”
osservai arrossendo.
E’ così che conobbi Onoff, il capo della resistenza televisiva. Il quale mi raccontò di aver avuto anche lui un episodio di guerriglia con un apparecchio al plasma, che non era il solo e che si stava organizzando da mesi una rivolta. Mentre mi parlava immaginavo già missioni pericolosissime sui tetti per abbattere la selva di antenne che avvelenavano il mondo. Mi vedevo al buio, con un passamontagna calato in volto mentre scassinavo negozi di elettrodomestici all’interno dei quali piazzavo bombe ad orologeria, oppure mentre rubavo dagli scaffali del supermercato confezioni su confezioni di tappi per le orecchie
infilandoli nell’immancabile impermeabile grigio.
Ma in quella mattinata scoprii da Onoff che non c’era bisogno di tutto questo.
“Basta spegnere! Nessuno può obbligarti a vedere la tele se tu non vuoi, la resistenza vera e propria viene dopo, quando ti accorgi di essere teledipendente, quando non ti viene in mente niente altro da fare che guardare la tv. E’ allora che entriamo in campo noi della resistenza televisiva. Prima di tutto vanno organizzati i gruppi di resistenza condominiali. Quanti bambini ci sono nel tuo vicinato?”
“Non so … credo due nella mia scala e più o meno … una decina nei palazzi intorno a casa mia.”
“E li conosci?”
“Di vista, ma non vengono a scuola con me e poi molti sono più piccoli e alcuni più grandi. Solo quattro hanno la mia stessa età.”
“Vanno salvati tutti, lo capisci vero? Tutti! Anche quelli che ti stanno antipatici, stiamo lottando per liberare il mondo, per svegliare il popolo dei bambini dalla dittatura delle televisioni e c’è bisogno di tutti … tutti!”
Nei due giorni che rimasi in ospedale il capitano Onoff mi spiegò tattiche e strategia della guerriglia. Bisognava riconquistare spazi di aggregazione fra bambini, i giardinetti, le sale condominiali, biblioteche e ludoteche (se ce n’erano) ma anche le case dei privati, dovevamo conoscere il maggior numero di bambini possibile, distrarli dallo schermo, portarli fuori e fargli conoscere l’organizzazione. “Sì ma una volta che li ho radunati e ho spiegato loro il piano sovversivo, che facciamo?”
“Giocate!”
“Giochiamo?”
“Certo, a questo scopo noi ci avvaliamo di una certa cultura orale tramandata da bambino a bambino, disponiamo inoltre di testi dettagliati e scatole con
giochi da tavolo per tutte le fasce d’età. Tuttavia la nostra strategia è USCIRE FUORI A TUTTI I COSTI, in casa il pericolo è sempre in agguato e le possibilità di gioco limitate. Dovrai essere tu il motore del gruppo, organizzare tornei, spedizioni, incontri con altri gruppi. Tu hai il marchio, questo ti rende già più credibile di chiunque altro. Inoltre non devi calarti i pantaloni come me ogni volta che vuoi far vedere la bruciatura e credimi, è un bel vantaggio.”
L’idea di partecipare a una guerriglia partigiana in cui le munizioni erano giochi e compagni mi elettrizzava.
La mia vita cambiò.
I miei genitori erano all’inizio piuttosto sospettosi, spesso dovevamo garantire dei referenti adulti per poterci incontrare in spazi aperti ma li sceglievamo con cura, sorelle maggiori con fidanzati al seguito, nonni e nonne con problemi all’udito e naturalmente compagni di battaglia, lo zio Mario ad esempio copriva quasi sempre le nostre riunioni serali.


Il mio nome in codice ora è Alice, sono comandante in capo della brigata giardinetti Don Bosco, al mio attivo ho un gruppo di 45 combattenti. In questo momento stiamo lavorando alla disconnessione di un bambino del condominio 36/B, giochiamo sempre sotto le sue finestre e lo salutiamo tutti ogni volta che lo vediamo. Ieri lo abbiamo avvistato mentre ci spiava da dietro i vetri della sua cameretta, è fatta, in una settimana sarà dei nostri e allora comincerà la fase più dura, la disintossicazione; poi la strada sarà tutta in discesa, avremo un nuovo amico ma anche un altro combattente su cui contare.



I disegni sono di mia figlia Aurora, ho tentato (anni fa) di pubblicare alcuni miei racconti ed ho conosciuto il lato oscuro dell'editoria italiana quindi, quando metto da parte un po' di soldi, me li pubblico da me e poi li vendo dopo gli spettacoli o durante i mercati ... che s'ha da fa per parlà!