venerdì 15 gennaio 2010

Questo è il racconto di un esperienza familiare entusiasmante e di una sconfitta sociale disarmante.
Il primo passo fu il colloquio con il dirigente dell’istituto, con la scusa del nostro lavoro itinerante, gli consegnammo una domanda che avevamo trovato in un sito sulla homeschooling* ( o scuola paterna) in cui dichiaravamo di prenderci cura dell’istruzione del bambino personalmente. In realtà non c’era bisogno di scuse, la scuola familiare è un diritto-dovere, quindi indiscutibile. Il direttore prese qualche giorno per informarsi sulle procedure da seguire, eravamo un caso unico secondo lui. In realtà, a livello burocratico non ci furono problemi.
Questo è il modulo di domanda che noi, ogni anno entro i primi giorni di settembre, inviamo alla scuola di riferimento territoriale:
___________________________________________________
Al Dirigente dell’ istituto………

Io sottoscritto……., padre di …………..dichiaro di essere in possesso dei seguenti titoli di studio :…………………………
Io sottoscritta ……….madre di ……….dichiaro di essere in possesso dei seguenti titoli di studio……………………………
Con questa nostra comunichiamo al Dirigente Scolastico dell’istituto………………………. La nostra intenzione di avvalerci del diritto sancito dalla Costituzione Italiana che prevede la possibilità di praticare la “scuola paterna o familiare”.

Firma del padre e della madre
Data e luogo


I requisiti scolastici non sono stabiliti dalla legge. Questo naturalmente per quello che riguarda il primo ciclo della scuola primaria (dalla prima alla quinta elementare) della quale abbiamo esperienza diretta. Il primo anno il dirigente ci chiese di sottoporre il bambino ad un esame a fine anno. La normativa non era molto chiara ma il direttore ci rassicurò dicendoci che la prova era identica a quella richiesta quando si vuol far anticipare di un anno la scolarizzazione al proprio bambino (la cosiddetta “primina”) e noi accettammo.
In seguito, e a tutt’oggi è così, una circolare ministeriale del 2008 ha stabilito che gli alunni provenienti dalla scuola familiare sono obbligati a sottoporsi ogni anno ad un esame di idoneità.**
Ci sembrava un po’ anacronistico che, in un periodo storico in cui persino gli esami di 5° elementare erano stati aboliti, si richiedesse a nostro figlio di sottoporsi a questo stress ogni anno. Andammo al provveditorato. Ascoltarono le nostre ragioni e ci suggerirono di intraprendere un azione legale. Demordemmo. In fondo questo ci sembrava il male minore. Accettammo l’ esame, che potevamo concordare con le insegnanti e che si basava su un programma da noi presentato, in cambio della libertà di insegnare a nostro figlio come e quando volevamo. Abbiamo da allora presentato ogni anno una domanda al dirigente scolastico nella quale chiedevamo che nostro figlio fosse sottoposto all’esame, incontravamo le tre maestre qualche giorno prima dello scrutinio e facevamo vedere loro tutto il materiale prodotto durante l’anno. Le insegnanti ci dicevano come avrebbero portato avanti il colloquio e le prove scritte in modo da preparare il bambino, inoltre ci hanno sempre permesso di assistere ( in silenzio, magari fuori della porta aperta) a tutti gli esami. A distanza di qualche mese la scuola ci rilasciava un documento che attestava l’idoneità del bambino a passare nella classe successiva. In questo modo, qualsiasi cosa fosse accaduta, poteva rientrare l’anno successivo nella classe corrispondente alla sua età; se noi o il bambino avessimo voluto.
Non ce ne fu mai bisogno.
Questi sono i passaggi burocratici obbligati e le esperienze personali che ci hanno portato alla scelta. Poi è venuta la quotidianità della scuola fatta a casa. All’inizio ero terrorizzata. Un conto è immaginare la cosa, un altro era farla. Mi addormentavo la sera domandandomi se sarei stata in grado di insegnare a mio figlio. Mi arrovellavo il cervello con problemi legati alla socializzazione del ragazzino. Temevo che il mio rapporto di mamma si sarebbe guastato qualora mio figlio mi avesse visto come la “maestra”. E poi come organizzare il tutto mi sfuggiva completamente. Non mi credevo capace di sostenere lo stress degli esami: quel che sapeva o non sapeva il bambino era merito e colpa mia. Per fortuna la mia famiglia mi sosteneva, Olmo era felice e le notizie che mi giungevano delle mamme che avevano scelto un percorso “normale” rafforzavano la nostra decisione di continuare con la scuola familiare. Prima decisi di organizzare i tempi scolastici in base alla disponibilità del bambino. Gli insegnavo quando lui ne aveva voglia. Impossibile. Un bambino di sei anni non ha mai voglia di sedersi a scrivere. Quindi stabilimmo un orario quotidiano, dalle 10 alle 12 tutti i giorni tranne la domenica. Tolta qualche eccezione questo è il ritmo che abbiamo tenuto per tutti e cinque gli anni. Ve lo immaginate? Il bambino si sveglia sempre spontaneamente, senza fretta. Quando facciamo tardi la sera si alza più tardi, ma c’è sempre abbastanza tempo per fare tutto quello che abbiamo programmato. Fa colazione con noi raccontandoci i sogni che ha fatto la notte. Si lava si veste poi cominciamo. I primi tre anni io ero l’insegnante tuttofare. A mia figlia maggiore ( anni 20) spettava la musica mentre mio marito era impegnato in tutte le attività pomeridiane. Perché il bambino deve socializzare, con gruppi organizzati (sportivi o didattici come la scuola di musica o di lingua straniera) o con attività libere, andare al parco e da amici. Insomma tutte le nostre attività e impegni lavorativi si sono adattati a questa scelta. Io avevo la mattina impegnata e il pomeriggio libero, viceversa mio marito poteva lavorare il mattino e dedicarsi ad Olmo il pomeriggio. I fine settimana erano nostri e spesso lavoravamo tutti insieme (noi facciamo spettacoli da strada per bambini ***). Nel quarto e quinto anno invece mio marito è intervenuto per alleggerire l’onere del mio lavoro e mi ha sostituito nell’insegnamento della grammatica italiana, della matematica e in parte della lingua straniera. Ognuno con i suoi metodi e con le proprie difficoltà ci alterniamo in questa avventura. E Olmo? Non posso naturalmente dirvi cosa pensa lui realmente ma, mi piace ricordare un aneddoto a proposito di quel che il bambino ha manifestato in questi anni. Noi non abbiamo mai usato i voti. Se il ragazzino ha capito e sa fare bene, altrimenti si ripassano le cose possibilmente con altri metodi; ebbene un giorno un suo coetaneo mentre giocavano
nei giardini pubblici gli ha detto:
“Sai, io sono il primo della classe in matematica!”
“Anche io” ha risposto Olmo.
Certo ci sono stati momenti duri, per un lungo periodo durante il terzo anno non aveva mai voglia di scrivere ad esempio, ma le cose belle superano di gran lunga le difficoltà, quindi continuiamo a ritenere questa esperienza positiva e auspicabile


*http://www.alberosacro.org/legislazioneitaliana.htm **http://www.pubblica.istruzione.it/normativa/2005/dlgs76-05.shtml ***http://www.edscuola.it/archivio/norme/circolari/cm032-08.html **** www.lacreativendoleria.com

2 commenti:

  1. Sono contenta di aver scoperto il vostro bellissimo blog. Torneró spesso!

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  2. in piena crisi da post riunione con i genitori per l'iscrizione alla materna di Ettore (3 anni e mezzo), sono qui a leggervi per la prima volta..
    grazie!

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